La Manna e una particolare “Macchina”
“Ecco sulla superficie del deserto, una cosa minuta, tonda, come la brina sulla terra. La videro i figli di Israele e si dissero l’un l’altro: ‘Che cos’è?’. Perché non sapevano cosa fosse.” (Esodo, XVI, 14-15). E più avanti il testo biblico afferma che la ‘manna’ ovvero il ‘pane del Signore’ era “… una cosa minuta e granulosa… simile al seme di coriandolo e bianca: aveva il sapore di una focaccia col miele…”.
Ora, se questo fosse un film, esso potrebbe essere il solito film in cui il mitico attore Charlton Heston riveste i panni del carismatico Mosè alla guida del ‘suo’ popolo, nel deserto del Sinai, per sfuggire all’opprimente dominazione del popolo egiziano al tempo di Merenptah oppure, come sostiene qualche altro studioso, quando regnava Ramesse III.
Una strana macchina della Manna
Oppure potrebbe essere uno di quei film appartenenti forse ad un filone che potremmo definire ‘simbolista’ in cui – come affermerebbe anche qualche alternativa ‘scuola di pensiero – l’Esodo biblico non sarebbe mai storicamente avvenuto nel senso in cui tradizionalmente lo intendiamo, ovvero come fuoriuscita dall’Egitto di una moltitudine di persone identificabili come Ebrei. Per l’orientalista Mario Liverani, ad esempio, l’espressione ‘esodo’, nella lingua dell’antica Israele avrebbe avuto il significato di ‘uscire’ e apparterrebbe a quello che è stato definito ‘codice motorio’.
Un codice motorio è una serie di metafore correlate al concetto di ‘movimento’ e utilizzate unicamente per definire il mutamento di appartenenza politica di una regione, di una città o di un gruppo etnico ad una diversa, a volte più grande, struttura statale.
Nel 1976 il glottologo Gorge Sassoon e il biologo Rodney Dale pubblicarono sul prestigioso New Scientist un articolo in cui sostenevano che – studiando il testo ebraico noto come Hadrazuta Odisha, ovvero ‘La piccola santa glorificazione’, in cui si descriveva il miracolo della caduta della manna per opera di Yahvè – si erano convinti che attribuire all’Altissimo la produzione di quella strana sostanza commestibile era unicamente frutto di un errore di traduzione e che Yahvè, in tale circostanza (e non solo…) andava interpretato come una sorta di complessa macchina (Macchina della Manna) per colture idroponiche, in grado quindi di produrre ingenti quantità di alghe che avrebbero fornito il sostentamento al popolo ebraico in fuga .
La Macchina della Manna
Due anni più tardi pubblicarono anche il libro, inedito in Italia, La Macchina della Manna. I due ‘registi di questo nostro ipotetico ‘film’ ricorsero all’aiuto e alla competenza di un esperto, tale Martin Riches, il quale seguendo alla lettera il testo ebraico – come aveva d’altra parte fatto il già citato Blumrich con la ‘visione di Ezechiele’ – ne costruì un esemplare simile, secondo i ‘registi’, a quella che un popolo alieno avrebbe portato sulla Terra oltre tre millenni or sono e che in seguito sarebbe stata nascosta nella città di Silo, insieme all’inafferrabile Arca dell’Alleanza, come affermerebbe il profeta Samuele…
“Quando il popolo fu rientrato nell’accampamento, gli anziani d’Israele si chiesero ‘Perché ci ha percossi oggi il Signore di fronte ai Filistei? Andiamo a prenderci l’Arca del Signore a Silo, perché venga in mezzo a noi e ci liberi dalle mani dei nostri nemici…”, (I Samuele, IV, 3).
Ma come sarebbe apparsa a quelle antiche genti – e chi l’avrebbe realizzata? – la nostra ipotetica Macchina della Manna?
Nel ‘Libro dello Splendore’, nello Zohar, per la incredibile ‘Macchina’ ci sono descrizioni di una curiosa struttura in cui appaiono termini come ‘testa’, ‘cranio’ e ‘faccia’, espressioni che – secondo i due autori citati ma anche secondo il professor Rostislav Furduj, dell’Università di Kiev – avrebbero poi fatto scaturire il concetto di ‘Antico dei Giorni’ data la vaga struttura antropomorfa del tecnologico dispositivo atto a sfamare il popolo ebraico in fuga nel deserto.
L’Antico dei Giorni, le colture idroponiche e la Macchina della Manna
“La rugiada della bianca testa scende, goccia dopo goccia, nel cranio della faccia ed è lì accumulata…” e in un altro passo del ‘Libro dello Splendore’ si parla anche di una “… venerabile barba bianca…” attraverso la quale sarebbe fluito un “… olio dalle grandi virtù…”.
Tali descrizioni e molte altre ancora – tutte in odor di ‘tecnologica eresia’, s’intende – hanno fatto pensare a George Sassoon, a Rodney Dale e soprattutto a Martin Riches che il biblico ‘Antico dei Giorni’ non fosse altro che una iper-complessa macchina per… colture idroponiche, ovvero un elaborato dispositivo in grado di coltivare delle alghe commestibili – forse la Chlorella vulgaris – senza ricorrere all’uso di adatti terreni, ma impiegando soltanto acqua, qualche fertilizzante e un complesso, tecnologico, quasi alchimistico ‘alambicco’ in grado di produrre un cibo vegetale ricco di proteine, necessario alla sopravvivenza delle numerose persone che, secondo l’Esodo, tentavano di sfuggire all’oppressione egiziana.
Dopo questa brevissima digressione ai ‘confini della realtà’, lasciamo lo spazio e torniamo sulla nostra Terra dove vedremo come non è poi così fantascientifico pensare che l’Antico dei Giorni fosse veramente un complesso sistema di colture idroponiche, ovvero la misteriosa ‘Macchina della Manna’. Chiunque l’abbia realizzata…
Chi si dedica a tali biotecnologie afferma infatti che un sistema idroponico è in grado di fare sviluppare le piante più velocemente rispetto ad un sistema tradizionale a base di terra, fornendo alle piante stesse le medesime caratteristiche genetiche. Non si tratta insomma dei tanti vituperati OGM!
La Macchina della Manna e l’Arca dell’Alleanza
Tutto ciò può essere ottenuto grazie ad un preciso controllo dei nutrimenti e ad un più ricco apporto di ossigeno. Le piante possono così respirare con maggior facilità e per tale motivo impiegano meno tempo a crescere.
In pratica si usano apposite vasche trasparenti, adatti serbatoi e un sistema idraulico costituito da tubi e piccole pompe, in grado di far fluire l’acqua, con alcuni specifici additivi, al substrato costituito – almeno nei sistemi più semplici – da lana di roccia entro la quale le radici delle alghe, o delle piante in genere, si svilupperanno e si moltiplicheranno.
Di recente è stato pubblicato un curioso, interessantissimo libro intitolato ‘Custode della reliquia’ , dei fratelli Peter e Johannes Fiebag (Armenia 2007), in cui si ipotizza – con qualche ‘prova’ alla mano’ – che l’Arca dell’Alleanza avrebbe avuto il compito di contenere alcune parti della Macchina della Manna dopo che quest’ultima ebbe terminato il suo compito di produrre cibo per gli ebrei che vagavano nel deserto.
L’aulico linguaggio dello Zohar
“Tre teste sono inserite: questa si trova in quella e questa sopra all’altra. Una testa è la saggezza ed è la più nascosta… Questa saggezza è nascosta; è la saggezza suprema…”
(MinSA59)
Sembra indubbiamente l’aulico linguaggio dello Zohar, carico di simbolismi, che troviamo spesso nei testi legati all’ebraismo delle origini, ma se al termine ‘Testa’ sostituissimo il termine ‘Sfera’ e se interpretassimo la parola ‘Saggezza’ come termine indicante la ‘Sfera’ posta più in alto tra due ‘sfere’ situate all’interno di una ‘sfera’ più grande, la descrizione inizia ad assumere significati più ’tecnologici’, più vicini al nostro modo di comprendere alcuni strani aspetti di quel lontano popolo, di quelle lontane contrade. Ma proseguiamo…
“Da questo cranio della faccia ( a volte il termine ‘testa’ viene sostituito da ‘cranio’. N.d.A.) fuoriesce una venerabile barba bianca che scende in direzione del Piccolo Volto… e da qui prosegue verso gli altri crani sottostanti, che sono innumerevoli.”
(MaggSA56)
Ancora…
“E tutte le santità provengono dalla Testa superiore del cranio… dal cervello superiore…questa benedizione fluisce in tutte le membra del corpo finché non raggiunge quelle chiamate ‘Eserciti’… il fiume completamente bianco, è soprannominato ‘Grazia’…”
(MinSA759)
E infine…
“La rugiada della Testa bianca gocciola nel cranio
del Piccolo Volto e lì viene conservata.”
(MinSA436)
Tutto ciò – volendo sempre rimanere nell’ipotetica ‘sceneggiatura’ di questo nostro ipotetico ’film’ ambientato nel deserto del Sinai – non potrebbe forse ricordarci un po’ i serbatoi posti nella parte superiore della ‘Macchina’ – il “… cranio della faccia…” – oppure una sorta di lana di roccia – la “… venerabile barba bianca…” – attraverso cui sarebbero fluiti i liquidi nutrienti… – la “… rugiada che gocciola…” ?
La famosa ‘manna’ non potrebbe essere stata la sostanza…
“…ottenuta dalla rugiada solo per un certo periodo di tempo: il periodo in cui il popolo d’Israele andava vagando nel deserto e in questo luogo era sfamato dall’Antico dei Giorni. Ma in seguito non fu più ritrovata…” ?
(MinSa437)
Forse anche questa volta abbiamo dato troppo libero sfogo alla nostra fantasia, alla nostra visione del mondo e delle antiche conoscenze andate perdute?
Può darsi, ma ciò è frutto dell’insopprimibile desiderio – ampiamente diffuso – di ‘rileggere’ in un’ottica più ‘scientifica’ e ‘tecnologica’ alcuni particolari, ‘miracolosi’ eventi biblici che ci fanno pensare sempre più di non essere soli nell’Universo. Per il momento, torniamo ancora una volta… sulla Terra per parlare della Macchina della Manna.
La ‘manna’, una pianta, un insetto…
Però, anche in uno strano libro come questo, non è cosa né buona né giusta fare torto al pensiero di quel saggio filosofo che rispondeva al nome di Guglielmo di Occam (…)
Il cosiddetto ‘rasoio’ che da lui ha preso il nome, dovrebbe infatti aiutare il ricercatore a prendere le dovute distanze da ipotesi troppo azzardate, da ipotesi ricorrenti ad altre ipotesi ancor più credibili e così via in un turbinio di idee in cui è difficile districarsi, separando la realtà dai ‘voli pindarici’.
Confesso che a volte anche chi scrive è stato tentato di accantonare per un po’ il suddetto ‘rasoio’ e ha percorso itinerari di ricerca molto ‘contro corrente’.
E di tutto ciò non mi pento affatto, anzi ne sono ben lieto poiché solo disseminando di ‘costruttivi dubbi’ l’ardua strada della ricerca è, spesso, possibile avvicinarsi a mete altrimenti irraggiungibili percorrendo sentieri costellati di ‘inamovibili certezze’.
Il Pettorale del Cohen-Gadol inteso come mezzo tecnologico con cui il Gran sacerdote ebraico poteva comunicare con la ‘divinità’, l’Arca dell’Alleanza interpretata come un grande condensatore elettrico in grado di accumulare ingenti quantità di elettricità statica e di manifestare a volte in maniera tragica (il povero Uzza docet…) la propria potenza creatrice ma anche distruttrice, sono eclatanti esempi di come l’Autore di questo articolo, pur operando in un contesto di ricerca universitaria di ‘strettissima osservanza’, sia propenso ad allargare i propri orizzonti culturali in direzioni particolarmente ‘eretiche’.
La Macchina della Manna e un… insetto
Però non sempre appare corretto comportarsi solo ed esclusivamente così. Nel caso della misteriosa ‘manna’ è quindi il caso di esporre anche un’ipotesi… ‘terra terra’. Nel senso letterale del termine poiché fa ricorso ad un arbusto ben diffuso in ambito sinaitico e a un piccolo, insignificante insetto che del pungere la corteccia dell’arbusto pare abbia fattola sua attività quotidiana, almeno nel periodo estivo.
Vediamo come potrebbero essere andate quelle strane, lontane vicende…
… E la casa d’Israele gli metteva nome ‘manna’. Ed era bianco
come il seme di coriandolo, e il suo sapore era come quello
di sottili focacce al miele…”
(Esodo, XVI, 31)
Cos’era – in una visione molto più pragmatica – quella sostanza bianca che spinse l’affamato popolo d’Israele a chiedere “Man hù?”, ovvero “Cos’è? ”, da cui l’attuale termine di ‘manna’?
Fu nel lontano 1925 che due botanici dell’Università ebraica di Gerusalemme, Friedrich Simon Bodheneimer e Oskar Theodor, effettuarono una spedizione nel Sinai alla ricerca di una possibile spiegazione del mistero.
Mistero svelato?
Dopo intense esplorazioni della zona e acute riflessioni, decisero che la ‘manna’ non era altro che la secrezione di arbusti della Tamarix gallica, nella varietà ‘mannifera’, quando essi venivano punti da un emittero – il Coccus manniparus o Fossyparia mannifera – una sorta di cocciniglia tipica di quella regione.
La secrezione della pianta ha, appunto, forma e dimensioni di un seme di coriandolo che, cadendo, appare bianco per diventare, di lì a poco, di colore giallo-bruno. Nella sua relazione, il Bodheneimer scrisse anche che “…I granuli cristallizzati hanno uno speciale sapore dolce. Si può benissimo paragonarlo al sapore di zucchero di miele, cioè al prodotto di miele d’api stagionato…”. I due botanici appurarono inoltre che quando la temperatura del suolo raggiunge i 21°C – sotto i raggi del sole – la ‘manna’ scompare, divorata dalle formiche risvegliatesi dal letargo a causa del calore solare. In accordo con ciò che riporta il cronista biblico quando afferma che essa si liquefaceva ai raggi del sole e che gli israeliti “… ne conservarono per l’indomani, ma cominciò a mandar fuori i vermi ( forse proprio gli insetti e le formiche? N.d.A.).”
Un’obiezione venne subito mossa dagli studiosi di ‘stretta osservanza’, in base al passo biblico in cui si afferma che…
“E i figli d’Israele mangiarono la manna per quarant’anni, finché giunsero in un paese abitato…” ( Esodo, XVI, 35).
Quarant’anni? Come sarebbe stato possibile se la ‘manna’ – la secrezione della Tamarix mannifera s’intende – cade solo nel periodo giugno-agosto?
Quarant’anni…
A leggere con attenzione il succitato passo, non si legge affatto “quarant’anni di seguito…” ma solo “… quarant’anni…”. Ebbene, ognuno di noi mangia da moltissimi anni pane, carne, vegetali e ogni altro cibo ma certamente non per anni e anni… di seguito!
Quindi, se effettivamente le cose andarono come i due biologi supposero, non ci sarebbe nulla di strano poiché gli israeliti mangiarono la ‘manna’ prodotta dagli arbusti quando era il ‘suo tempo’ (in estate) e negli altri periodi, forse, parte del bestiame che avevano come scorte, fatto questo che si evince anche dal biblico passo… “… Preparatevi le provviste, perché fra tre giorni attraverserete questo Giordano per andare ad impossessarvi del paese che Yahvé, vostro Dio, vi dà per prenderne possesso.” (Giosuè, I, 11).
Per non parlare della caduta di “… tante quaglie da ricoprirne il campo…” (Esodo, XVI, 13). Ma questa è un’altra storia, un altro possibile ’film’…
di Roberto Volterri
tratto dal libro Archeologia dell’Impossibile
Tecnologie degli Dèi
AUTORE: ROBERTO VOLTERRI
PREFAZIONE: MARIO PINCHERLE
FORMATO: 16 X 23
PAGINE: 164
ISBN: 978-88-89713-19-8
Archeologia dell’Impossibile
Sarebbe ben arduo sperare di rintracciare in qualche Museo alcuni dei reperti descritti in questo libro. Perché? Ma è semplice: perché… non esistono o non sono mai esistiti. Almeno ‘ufficialmente’… Questo lavoro vorrebbe, quindi, colmare tale lacuna e dovrebbe essere inteso come un vero e proprio manuale di “Archeologia eretica”, indispensabile a tutti quei ricercatori dell’ignoto che vogliono affrontare uno studio sperimentale sulle “possibili tecnologie antiche”, con l’indispensabile apertura mentale necessaria ad intraprendere una strada irta di ostacoli, ma soprattutto nel pieno rispetto dell’ortodossia scientifica.
L’Autore, pur occupandosi in ambito universitario degli aspetti più concreti della ricerca archeologica, ha tentato di ricostruire impossibili oggetti, basandosi in alcuni casi su testi biblici, in altri su testimonianze storiche e in qualche caso facendo “atto di fede” nei confronti di qualche studioso del passato che ha sostenuto di averli visti o di averli realizzati egli stesso. Pile di Bagdad? Lampade di Dendera? Arca dell’Alleanza? Macchina della Manna? Lumi eterni? Bussola Caduceo? Specchi ustori? Urim e Tummin? Lente di Layard? Sono degli oggetti “impossibili”… ma non per tutti e, seguendo le indicazioni fornite in questo libro, anche voi riuscirete a realizzarli facilmente!